Artecnologia
Arte, Cinema & ... Pubblicità
Non è più una scandalosa novità parlare di pubblicità come arte.
Siamo ormai ben oltre l'epoca in cui Andy Warhol faceva della pubblicità il contenuto-superficie dell'opera d'arte: come anche il cinema, il fumetto, il cartoon o il design, la pubblicità ha ormai affermato una sua dignità di prodotto artistico.
Da tempo esistono rassegne e si indicono premi per i filmati pubblicitari esteticamente più significativi. Recentemente Torino e poi Napoli hanno ospitato una mostra antologica dedicata al lavoro di quel grande creativo del mondo pubblicitario che fu Armando Testa.
Va da sé che così come non tutti i quadri o tutte le sculture e istallazioni prodotte nel tempo sono per forza dei capolavori, allo stesso modo non tutto il cinema né tutta la pubblicità prodotta sul mercato è arte: ma si tratta evidentemente di ormai accettati e sfruttati campi di espressione artistica in cui:
conseguenza dei precedenti punti è un interscambio, un'osmosi costante tra le arti "nuove" (prestiti, citazioni, scambio di ritmi soluzioni narrative e tecnologiche) che fa sì che esse siano saldamente inserite nella vita della società contemporanea.
PUBBLICITA' ovvero IL CINEMA IN PILLOLE
Antonio Costa, saggista e titolare della cattedra di "Storia del Cinema" al DAMS di Bologna, nei suoi scritti di estetica e semiotica del cinema, ha spesso citato Walter Benjamin che, già dal 1936, denunciando la radicale crisi del sistema tradizionale delle arti, stabilì uno stretto legame tra il nuovo statuto dell'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica e lo sviluppo di un suo uso rivoluzionario realizzata dal cinema,
in primo luogo negli aspetti tecnici della riproduzione del mondo:
causa ed effetto di ciò sarebbero le modalità di percezione "COLLETTIVA" e "DISTRATTA" tipiche del pubblico cinematografico.
Così il linguaggio della pubblicità si evolve, e noi con esso: basta provare a seguire uno dei vecchi spot di Carosello, per tanti versi geniali e spesso ricordati con una vena di nostalgia da "bei tempi andati": per lo spettatore odierno, abituato a ben altri ritmi filmici, appaiono lenti e decisamente troppo lunghi...in una parola, noiosi.
I tempi di evoluzione della pubblicità sono serratissimi: una pubblicità televisiva degli anni sessanta risulta alla percezione odierna antiquata; una produzione cinematografica degli stessi anni invece è tutt'ora fruibile secondo i codici linguistici attualmente in vigore (per arrivare alla linea di demarcazione con un linguaggio diverso da quello attualmente applicato bisogna tornare al cinema precedente all'avvento del sonoro, ossia prima degli anni '30).
Ai suoi albori la pubblicità filmica ha tratto ispirazione dal cinema (oltre che dal cartoon), carpendone i modi espressivi, le tecniche ma anche i luoghi, quelli della vita quotidiana, della metropoli con il suo traffico, le automobili, il lavoro (la fabbrica prima e più recentemente l'ufficio), la casa, i luoghi di divertimento e quelli di spettacolo.
In un secondo momento è stato il cinema a doversi adeguare a quei ritmi cui gli spettatori erano stati abituati dagli spot televisivi, che attraverso la ricerca di nuove vie per l'efficacia promozionale, costretti a tentare di catturare l'attenzione del pubblico in sempre minor tempo e spazio, andavano sviluppando nuove tecniche di montaggio, nuovi effetti, nuove estetiche ritmiche.
Attualmente esiste un interscambio dialettico non solo tra cinema e pubblicità, ma anche con il mondo dei video-games, con il fumetto, con il cartoon e, attenzione, con la letteratura, l'unica tra le arti "tradizionali" ad essere rimasta in contatto con le dinamiche vive di mercato e consumo in cui queste altre sono non solo inserite, ma parte integrante, se non vero e proprio motore propulsore.
I "nuovi" media insomma, hanno qualità di sistemi espressivi con le loro regole e generi, e con le incessanti e frenetiche ricerche ai fini rappresentativi.
Essi costituiscono le ARTI attualmente vive, cioè praticate, discusse, aggiornate, vendute e comprate, all'interno della società attuale, con i suoi mezzi tecnici, con le sue strategie di mercato e sistemi di fruizione.
E' qualcosa che tutti conosciamo, di cui tutti possiamo parlare, qualcosa che ci accompagna e ci fa compagnia, che si evolve con noi, con la società, con il progresso tecnologico. Non abbiamo paura del cinema, non abbiamo timore reverenziale nei confronti della pubblicità, non abbiamo bisogno di una guida per addentrarci in un cartoon: poiché non ci sono sconosciuti. LI CAPIAMO.Tutti noi li capiamo, almeno al livello base di fruizione semplice. Poi, come in tutte le cose, c'è un ambito per addetti ai lavori: vale anche per i lavandini, o per la rilegatura dei libri, o la costruzione di schede elettroniche per il computer.
Altrettanto non si può dire delle arti tradizionali-museali, oggi riciclatesi e rinominatesi, sottoposte a chirurgia plastica, fuori dal quadro, dentro il quadro, con nuove tecniche, mezzi, materiali... ma tragicamente, inesorabilmente lontane dalla nostra vita, dai nostri problemi, da noi.
Siamo ormai ben oltre l'epoca in cui Andy Warhol faceva della pubblicità il contenuto-superficie dell'opera d'arte: come anche il cinema, il fumetto, il cartoon o il design, la pubblicità ha ormai affermato una sua dignità di prodotto artistico.
Da tempo esistono rassegne e si indicono premi per i filmati pubblicitari esteticamente più significativi. Recentemente Torino e poi Napoli hanno ospitato una mostra antologica dedicata al lavoro di quel grande creativo del mondo pubblicitario che fu Armando Testa.
Va da sé che così come non tutti i quadri o tutte le sculture e istallazioni prodotte nel tempo sono per forza dei capolavori, allo stesso modo non tutto il cinema né tutta la pubblicità prodotta sul mercato è arte: ma si tratta evidentemente di ormai accettati e sfruttati campi di espressione artistica in cui:
- si raccolgono i maggiori investimenti economici;
- si svolge un enorme, incessante lavoro di ricerca, sia in campo creativo che tecnologico;
conseguenza dei precedenti punti è un interscambio, un'osmosi costante tra le arti "nuove" (prestiti, citazioni, scambio di ritmi soluzioni narrative e tecnologiche) che fa sì che esse siano saldamente inserite nella vita della società contemporanea.
PUBBLICITA' ovvero IL CINEMA IN PILLOLE
Antonio Costa, saggista e titolare della cattedra di "Storia del Cinema" al DAMS di Bologna, nei suoi scritti di estetica e semiotica del cinema, ha spesso citato Walter Benjamin che, già dal 1936, denunciando la radicale crisi del sistema tradizionale delle arti, stabilì uno stretto legame tra il nuovo statuto dell'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica e lo sviluppo di un suo uso rivoluzionario realizzata dal cinema,
in primo luogo negli aspetti tecnici della riproduzione del mondo:
causa ed effetto di ciò sarebbero le modalità di percezione "COLLETTIVA" e "DISTRATTA" tipiche del pubblico cinematografico.
Così il linguaggio della pubblicità si evolve, e noi con esso: basta provare a seguire uno dei vecchi spot di Carosello, per tanti versi geniali e spesso ricordati con una vena di nostalgia da "bei tempi andati": per lo spettatore odierno, abituato a ben altri ritmi filmici, appaiono lenti e decisamente troppo lunghi...in una parola, noiosi.
I tempi di evoluzione della pubblicità sono serratissimi: una pubblicità televisiva degli anni sessanta risulta alla percezione odierna antiquata; una produzione cinematografica degli stessi anni invece è tutt'ora fruibile secondo i codici linguistici attualmente in vigore (per arrivare alla linea di demarcazione con un linguaggio diverso da quello attualmente applicato bisogna tornare al cinema precedente all'avvento del sonoro, ossia prima degli anni '30).
Ai suoi albori la pubblicità filmica ha tratto ispirazione dal cinema (oltre che dal cartoon), carpendone i modi espressivi, le tecniche ma anche i luoghi, quelli della vita quotidiana, della metropoli con il suo traffico, le automobili, il lavoro (la fabbrica prima e più recentemente l'ufficio), la casa, i luoghi di divertimento e quelli di spettacolo.
In un secondo momento è stato il cinema a doversi adeguare a quei ritmi cui gli spettatori erano stati abituati dagli spot televisivi, che attraverso la ricerca di nuove vie per l'efficacia promozionale, costretti a tentare di catturare l'attenzione del pubblico in sempre minor tempo e spazio, andavano sviluppando nuove tecniche di montaggio, nuovi effetti, nuove estetiche ritmiche.
Attualmente esiste un interscambio dialettico non solo tra cinema e pubblicità, ma anche con il mondo dei video-games, con il fumetto, con il cartoon e, attenzione, con la letteratura, l'unica tra le arti "tradizionali" ad essere rimasta in contatto con le dinamiche vive di mercato e consumo in cui queste altre sono non solo inserite, ma parte integrante, se non vero e proprio motore propulsore.
I "nuovi" media insomma, hanno qualità di sistemi espressivi con le loro regole e generi, e con le incessanti e frenetiche ricerche ai fini rappresentativi.
Essi costituiscono le ARTI attualmente vive, cioè praticate, discusse, aggiornate, vendute e comprate, all'interno della società attuale, con i suoi mezzi tecnici, con le sue strategie di mercato e sistemi di fruizione.
E' qualcosa che tutti conosciamo, di cui tutti possiamo parlare, qualcosa che ci accompagna e ci fa compagnia, che si evolve con noi, con la società, con il progresso tecnologico. Non abbiamo paura del cinema, non abbiamo timore reverenziale nei confronti della pubblicità, non abbiamo bisogno di una guida per addentrarci in un cartoon: poiché non ci sono sconosciuti. LI CAPIAMO.Tutti noi li capiamo, almeno al livello base di fruizione semplice. Poi, come in tutte le cose, c'è un ambito per addetti ai lavori: vale anche per i lavandini, o per la rilegatura dei libri, o la costruzione di schede elettroniche per il computer.
Altrettanto non si può dire delle arti tradizionali-museali, oggi riciclatesi e rinominatesi, sottoposte a chirurgia plastica, fuori dal quadro, dentro il quadro, con nuove tecniche, mezzi, materiali... ma tragicamente, inesorabilmente lontane dalla nostra vita, dai nostri problemi, da noi.